Intervento

In merito all’arte di Johannes Pfeiffer

Alla fine del XX secolo, l’arte si è dedicata assiduamente alla questione dell’essenza dell’opera d’arte, ovvero la rappresentazione del concetto di arte in sé. Le risposte a tale quesito sono risultate essere molteplici, così come diverse sono state le aspettative elaborate nei confronti di tale disciplina. Tuttavia, sono state esplorate alcune possibilità che sfuggono a tali linee guida e aspettative, al fine di creare, nel miglior senso della parola, un concetto indipendente e autonomo. Ad esercitare un ruolo chiave è il luogo in cui l’arte raggiunge la sua piena manifestazione ed entra in dialogo con l’osservatore. Per realizzare le sue opere, Johannes Pfeiffer è da sempre andato alla ricerca di luoghi che avessero in un qualche modo attratto la sua attenzione e risvegliato il suo senso per la storicità. Per spiegare al meglio questo aspetto, si possono citare come esempio diverse opere realizzate dall’artista.

L'opera Stratificazioni trova sede nella cappella laterale di una chiesa italiana, dove il pavimento parzialmente rimosso rende visibile la sabbia del terreno di costruzione, dal quale emergono le ossa di una tomba precedentemente sepolta. Successivamente, Pfeiffer realizzò un pavimento discontinuo in mattoni in modo tale che coprisse parzialmente il sepolcro, tenuto in posizione da numerosi fili di plastica fissati in corrispondenza del punto di incontro tra il muro e il soffitto. Questo sorta di ammattonato artificiale, che permette all’osservatore di dirigere il suo sguardo verso ciò che si trova in maggiore profondità, assume il ruolo di manto protettivo con lo scopo di nascondere, senza però coprire del tutto, ciò che si trova al di sotto, ovvero la storia dei morti con i suoi vari sedimenti. In quest’opera, il peso del pavimento è quasi completamente supportato dai singoli fili di tenuta, grazie ai quali emerge la dinamicità immateriale delle linee di forza che convergono in un unico punto caratterizzato da estrema staticità. Il complesso equilibrio tra leggerezza e peso incarna indirettamente le caratteristiche statiche della chiesa stessa, condizioni che, negli edifici medievali, venivano spesso osservate unicamente dalla visione dell’architetto, senza disporre di adeguati e precisi mezzi di calcolo. Anche gli affreschi murali dietro il fascio di fili risentono dell’influenza da questo concetto. Esattamente come attraverso un velo, essi possono essere percepiti soltanto se vengono, in un certo senso, rimossi dallo sguardo diretto dello spettatore. Pfeiffer si indirizza così alla percezione di chi osserva, enfatizzando la distanza intesa come contrastante vicinanza sia spirituale sia materiale ai realizzatori degli affreschi risalenti ai secoli passati, quando architettura e pittura lasciarono una traccia indelebile nella storia. Infatti, ai cambiamenti delle condizioni di vita e del tessuto sociale e politico si accostò il mutamento della visione umana, modificando così le concezioni di architettura, pittura e valore di luogo. l tema prediletto dell’artista si rivela essere ripetutamente la storia, espressione del legame tra uomo e natura. Un tronco d'albero, spogliato dei suoi rami, carbonizzato e tagliato in pezzi maneggevoli, si raddrizza come per l’ultima volta, aggrappandosi a una scala a ridosso del muro di un’abitazione. La natura si trasforma così in un monumento a sé stessa. Dal momento in cui il cambiamento dello stato di aggregazione genera un processo temporale cui anche l’essere umano è soggetto, tutto ciò che viene considerato materia prima, come ad esempio il legno o il carbone, rientra in un ciclo naturale. Allo stesso tempo, il tronco d'albero esprime quella staticità originale ed essenziale, simbolo delle prime esperienze dell'uomo nella costruzione delle proprie abitazioni. È questo il caso particolare di una scala, quale rappresentazione delle radici dell'esperienza umana e del suo progresso. Anche l'opera Sichtverlust, presso la chiesa di San Pietro a Bad Waldsee, nel Baden-Württemberg, affronta i temi dell'esperienza e della caducità. Come pali conficcati nella carne dell'architettura, i tronchi d'albero carbonizzati appaiono inseriti tra le pareti, collegandone e sostenendone l'architettura in previsione del suo decadimento.

I materiali di Johannes Pfeiffer sono facilmente concepibili e rappresentano nuovamente le esperienze fondamentali della storia dell’umanità. Tra i materiali da costruzione, il mattone è uno dei più antichi mai utilizzati. L’unione tra fuoco e argilla lo rende un materiale naturale e dalla consistenza dura, trovando così utilizzo ancora oggi quasi in ogni parte del mondo. Per sua natura, il legno è stato uno dei primi materiali da costruzione, il carbone veniva infatti utilizzato come fonte di energia e come pittura per realizzare le più antiche raffigurazioni delle caverne. Portatore di cultura e allo stesso tempo artefice della sua distruzione (pensiamo ad esempio alle pire funerarie), il legno assume una posizione di grande valore nella storia dell'umanità.

Pfeiffer ricerca la radice nelle cose, risalendo a quegli albori che sembrano non avere mai una fine. Riscoprendo la storia, l’artista ci ricorda del suo carattere permanente e della nostra attuale condizione, a bordo di una piccola barca che naviga lungo un fiume, la cui rotta sfugge dal nostro controllo. In che modo la storia influenza le nostre vite, la civilizzazione e l’arte? Quali sono i presupposti e come cambia il nostro punto di vista? Nel 1998, presso l'Istituto Italiano di Cultura di Berlino, Pfeiffer rimosse l'intonaco dalle pareti dell’edificio dell’ambasciata italiana, rendendo visibile la struttura muraria in mattoni messa in rilievo da preziose cornici risalenti al XV e XVI secolo. Anche in questo caso, la storia si trasforma in qualcosa di tangibile, nonostante non sia possibile avvicinarsi in piena prossimità per ragioni di sicurezza. In qualità di metafora, danno ed esposizione rappresentano la volontà dell'uomo a prendere coscienza di sé stesso. Dietro alla semplice azione alla base di questo lavoro, si cela una riflessione estremamente complessa connaturata all’intera collezione di opere dell’artista. Si tratta della riflessione sulla libertà, raggiungibile soltanto dopo aver riflettuto sulla natura o essenza delle cose del mondo e prendendo coscienza della propria storia.
Das Große Schweigen, tradotto letteralmente Il grande silenzio, era un'installazione situata nel seminterrato dell'ospedale dell'Abbazia di Eberbach, nella regione tedesca del Rheingau, costituita da quaranta tronchi d'albero che vennero scortecciati, spogliati del loro alburno e disposti nell'oscurità, illuminati solamente da lampade UV. Dal momento in cui la superficie del legno di robinia che venne utilizzata è leggermente fluorescente, gli alberi assumevano nell'oscurità un aspetto quasi spettrale. I monasteri cistercensi come quello di Eberbach vennero sempre costruiti in luoghi remoti, infatti, per la costruzione degli edifici, risultava necessario disboscare intere aree. Tale azione viene ripercorsa da Pfeiffer ottocento anni dopo la fondazione del monastero, restituendo agli alberi la loro natura fugace, e inscenandone una manifestazione all’interno di uno spazio chiuso. Capita molto spesso di immaginarsi come il paesaggio o i villaggi potevano apparire secoli addietro. Le opere di Pfeiffer coniugano il passato con il presente e ci permettono di partecipare al rispettivo genius loci, il che lega la storicità e allo stesso tempo trascende il tempo. Inoltre, l’artista fa trapelare una sensibilità capace di schierare lo spettatore di fronte alle proprie aspettative e alla propria coscienza, in modo da stimolarlo a riflettere su sé stesso.
Due muri di mattoni si ergono su un prato. Sembrano collassare l'uno sull'altro, tenuti dai soli e sottili fili trasparenti che collegano ogni mattone a un punto fisso molto lontano nel tempo. Ogni minima variazione in questo sistema di appigli fa sì che la fragile struttura assuma una posizione diversa, forse addirittura che crolli. In questo processo dinamico, però, non risiede solo un pericolo che minaccia la situazione, ma anche l'opportunità di apportare un cambiamento e di assumere una prospettiva diversa. In fin dei conti, forse siamo tutti invitati a scoprire la libertà di sciogliere questo nodo dentro di noi.

Dr. Martin Stather